ALLATTAMENTO: una danza d’amore
ALLATTAMENTO: una danza d’amore
“non si può ridurre l’allattamento di un neonato alla sola funzione nutritiva, esso rappresenta una vera e propria danza d’amore tra madre e figlio “
Nel luogo comune e da un punto di vista prettamente medico l’allattamento al seno viene considerato esclusivamente in termini di nutrizione.
La tendenza è quella di valutarne la quantità attraverso la crescita ponderata del bambino, le sue evacuazioni e la scansione in orari o numeri di poppate giornaliere.
Detta così, a primo impatto, l’allattamento si configura come un’azione “quasi meccanica” tesa a nutrire di cibo il bambino, pertanto la madre può essere “sostituita” da qualsiasi altra figura in grado di dare un biberon (di latte materno o formula) al neonato.
Certo, è fondamentale che il bambino debba essere ben nutrito affinché possa sopravvivere.
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Ma l’allattamento è davvero solo nutrimento di cibo?
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Direi proprio di no.
Mi piace definire l’allattamento come un dono reciproco che interseca natura, esperienza e individualità.
L’allattamento è un processo dinamico in quanto azione evolutiva ed esperienza unica, anche per la stessa mamma poiché varia da figlio a figlio e nel corso del tempo.
La natura ci dota fisiologicamente di un sistema ormonale e fisico in grado di poter allattare.
Il seno con le ghiandole mammarie, l’areola e il capezzolo (di varie forme e dimensioni) sono strutturalmente atti a svolgere questa funzione ed il processo ormonale che si attiva funge da attivatore nella produzione del latte.
Il bambino è parte attiva in questo processo.
È la sua suzione che attiva e stimola la produzione di latte, definendone le quantità e la qualità di cui egli necessita.
Un dialogo meraviglioso tra il corpo della madre e quello del bambino fanno sì che la produzione ossitocinica aumenti e regoli la loro danza d’amore in maniera armonica.
Entrambe provano piacere in questo scambio unico e insostituibile.
Fare queste premesse rispetto alla natura e alla fisiologia della donna è fondamentale in quanto per la madre, sapere che il proprio figlio non sia soggetto passivo ma persona attiva in grado di entrare in relazione profonda con lei, la aiuta psicologicamente nel mettere in atto un atteggiamento proattivo e di cura nei suoi confronti.
La gratificazione nel sentirsi competente stimola l’attivazione di parti celebrali fondamentali che subiscono una variazione positiva in termini di cura.
È meraviglioso notare quanto il corpo e la mente, sia della mamma che del bambino, camminino parallelamente dentro questo processo.
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UNA STORIA VERA
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Alice era alla sua prima esperienza di maternità.
Alla nascita il suo bambino ebbe un problema fisico tanto da essere sottoposto con urgenza ad un intervento chirurgico.
Subito dopo il parto Alice ebbe modo di attaccarlo al seno e di attivare il processo di conoscenza e scambio con il suo bambino.
Dopo poche ore però il bimbo venne ricoverato e poi operato.
Il giorno successivo al parto Alice vide il suo bambino ricoverato in Tin.
Non sapeva dove e come mettere le mani.
Davanti a lei una infermiera prese un biberon di latte e provò a farlo ruotare in quella minuscola bocchina che faticava ad accettare quella tettarella siliconata.
Dopo due giorni, e dopo che l’intervento andò a buon fine, Alice prese coraggio e decise di ricominciare la loro relazione da dove era stata interrotta.
L’immagine così fredda di quell’infermiera che reggeva la nuca del suo cucciolo adagiato nella sua culletta le era rimasta impressa.
Ma ancora di più la sua sensazione di impotenza, in quegli istanti, risuonava così dolorosa dentro di lei tanto da rimbombare.
Loro due avevano condiviso nove mesi, lei era stata in grado di riconoscere e percepire ogni suo movimento, e ora non si sentiva quasi più nulla per quel neonato.
Con forza e coraggio lo prese in braccio e con grande piacere notò che il bimbo cercò subito il suo seno.
Il profumo del suo colostro, molto simile all’esperienza uterina del liquido amniotico, riportò alla memoria del neonato il ricordo implicito della sua unica esistenza.
In maniera vorace riconobbe subito il suo seno e ben deciso riportò alla luce la loro relazione che era rimasta bloccata in un limbo.
Limbo in cui entrambe si aspettavano e si desideravano.
Alice iniziò a sentirsi unica e speciale per il suo bimbo.
Nessuno poteva più sostituirla, nessuno desiderava conoscere meglio di lei quella creatura che tanto l’aveva aspettata.
L’allattamento salvò una relazione probabilmente destinata a sfociare in distacco e depressione.
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Storie come quella di Alice ci insegnano quanto il bisogno di scambio e di prendersi cura, che si attiva sia a livello biologico sia psicologico, vada ben oltre la concezione di allattamento come mera nutrizione meccanica ma come bagaglio di simboli, scambi e percezioni di sé profondi e fondamentali in termini relazionali.