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Il San Valentino da “azzurro sbiadito” dei tifosi del Napoli

Napoli. Giorni interlocutori. Di attese e di speranze. Di ritorni, forse. Osimhen, per esempio, con il Genoa potrebbe essere abile ed arruolabile. Potrebbe. Il condizionale in questi casi è d’obbligo. Chissà. Intanto, la gara di sabato pomeriggio al Maradona contro il Genoa, si preannuncia più interessante di quel che poteva sembrare in un primo momento. Almeno sulla carta.

I liguri, infatti, sono allenati da Alberto GIlardino, uno di quei (tanti) nomi che nelle ultime settimane sono stati maggiormente accostati alla panchina azzurra per il dopo Mazzarri. Giocano un buon Calcio, i rossoblù. Propositivo. Caratteristica, quest’ultima, che da queste parti è diventata una sorta di vecchio ricordo. Tipo i Sanremo Anni Novanta di Baudo. Lo scorso anno ci si lamentava per una goleada con un bottino inferiore rispetto alla partita precedente. Oggi, invece, ci si esalta per un tiro in porta effettuato al trentaseiesimo del primo tempo. Come cambia il mondo.

Quello dell’ambiente azzurro, poi, è diventato particolarmente schizofrenico, altroché. Già. Perché quando il presidente Aurelio De Laurentiis durante la sua – oramai celeberrima – conferenza stampa della scorsa settimana aveva parlato di un Zielinski piuttosto demotivato, la piazza era insorta come gli americani ai tempi di Nixon e dello scandalo “Watergate”. Salvo attaccare oltremodo il centrocampista polacco dopo la scialba, scialbissima prestazione offerta contro il Milan a San Siro. Napoli è questa. A tratti geniale come Andy Warhol e a tratti bipolare come Kanye West. Prendere o lasciare.

E Mazzarri? Beh, il tecnico toscano ha deciso di zigzagare. Sì. Perchè con le cosiddette “piccole” il Napoli si riscopre improvvisamente “grande” e gioca un po’ più a viso scoperto, mentre con le big il diktat è quello del prima non prenderle, affidandosi – il più delle volte – ad un controproducente catenaccio che neanche Pesaola e Rambone a metà Anni Ottanta. E allora ad attese, speranze e ritorni, bisognerebbe aggiungere pure la parola “mentalità”.

No. Non ci riferiamo a quella sorta di slogan tanto in voga nelle curve d’Italia. Ci mancherebbe. La riflessione da fare, purtroppo, è ben più ampia e di certo meno romantica. In parole povere, I Campioni D’Italia hanno smarrito quella mentalità arrembante, strafottente – sfaccimmosa si sarebbe detto nella Napoli di una volta – che li aveva portati, nel corso degli anni, a giocarsela ovunque e senza remore di sorta. Sia chiaro: a Milano si può perdere. È nell’ordine delle cose. Soprattutto in questi tempi di vacche magre.

Epperò, presentarsi con un atteggiamento così rinunciatario alla “Scala del Calcio” equivale un po’ ad autosottolvalutarsi, a svalutare quella che è stata la filosofia del club partenopeo sin dai tempi di Hamsik e Lavezzi. Tradotto in soldoni: il Napoli ultimamente sta giocando come una squadra impegnata nella lotta per la salvezza.

E se sul Mercato di gennaio sono state spese cifre ingenti per acquistare – più che altro – uomini da impiegare in fase offensiva, il Napoli al Meazza si è presentato con Simeone unica punta. Un paradosso. Dopo il Genoa, a Fuorigrotta arriverà il Barcelona che, crisi o meno, è una squadra storicamente abituata a certe platee. A questo punto viene da chiederci come Mazzarri intenderà affrontare i blaugrana. Sembra niente, ma la Champions e la doppia sfida con l’ex squadra di D10S sono le uniche parentesi stagionale a non essersi ancora chiuse.