Fermiamo Giuffredi, Jugeli & co., per il bene del calcio
Diciamo basta ai continui ricatti di Giuffredi e degli altri agenti ai club
Cosa hanno in comune Mario Giuffredi e Margaret Thatcher? Proviamo a scoprirlo. “There is no alternative” era solita dire la Lady di ferro, premier britannico, circa le leggi lacrime e sangue promulgate dai suoi governi negli anni a cavallo tra il pre e il post caduta del muro di Berlino.
Prima del 1989 paradossalmente lo spauracchio del blocco sovietico imponeva ai paesi cosiddetti democratici di garantire diritti ai cittadini che poco dopo il crollo del socialismo reale si sarebbero sempre più affievoliti fino a sgretolarsi prima e svanire ai giorni nostri.
La cosa straordinariamente inquietante della nostra epoca è proprio quella di accettare paradossi distopici senza battere ciglio. Prendiamo ad esempio le cassiere dei supermercati. Solitamente assunte con contratti atipici (che ormai sono la norma) a rinnovo semestrale a 4 ore lavorative al giorno per una paga di 36 euro. Nella realtà dei fatti lavorano almeno 7/8 ore svolgendo le mansioni più svariate oltre a quella di cassiere e spetta loro un giorno di riposo ogni sette.
Ovviamente la paga è sempre quella miseria di 36 euro quotidiani e se per caso dovessero finire schiacciate da un bancale di surgelati l’episodio verrebbe derubricato come ennesimo incidente sul lavoro. Ma se domandi a queste ragazze perchè accettano condizioni lavorative così indecorose ti risponderanno certamente come la Lady di ferro: “Non c’è alternativa”.
Se ci fermiamo a prendere un caffè in un bar e domandiamo ad un qualsiasi tifoso o appassionato di calcio (magari ad una di quelle cassiere) se è giusto che i loro beniamini guadagnino tutti i soldi che guadagnano per giocare a calcio a livello professionistico ti risponderanno che “le cose stanno così, il calcio è cambiato ed è un business e quindi non c’è alternativa”.
Se poi approfondiamo e ci mettiamo a discutere del modo in cui gli agenti degli stessi calciatori operano, giocando sempre al rialzo degli ingaggi dei loro assistiti e facendosi pagare dalle società che ne detengono il cartellino commissioni milionarie che hanno il vago sapore della tangente, la risposta sarà sempre la stessa.
Con le ultime uscite degli agenti di Di Lorenzo e Kvaratskhelia si è raggiunto il limite, sia per il contenuto delle dichiarazioni sia per i toni usati. Abbiamo “scoperto” dall’agente del primo, Giuffredi, che i contratti non contano niente. Che sono solo un modo per raggiungere un accordo di massima su un impegno preso in un dato momento storico.
Provate a dirlo al vostro fornitore di energia elettrica quando vi arriva la fattura. “Non vale niente il contratto che ho sottoscritto, era solo un impegno rispetto ad una situazione che mi andava bene quando lo abbiamo sottoscritto ma adesso voglio più kw/h ad un prezzo inferiore altrimenti non vi pago”. Inutile andare oltre, ci siamo capiti.
Jameson o forse Zizek ebbero modo di dire che “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Proviamo a parafrasare questo enunciato rispetto a come i procuratori di calcio gestiscono gli interessi dei propri assistiti. Potremmo dire che “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine di questi continui ricatti da parte dei procuratori ai club”.
Dopo l’ultima dichiarazione pubblica di Mamuka Jugeli, agente di Kvicha Kvaratskheilia, “L’arrivo di Conte a Napoli non vuol dire che il mio assistito voglia restare lì, l’obiettivo è giocare la Champions”, forse è il caso di cominciare a pensare che non solo le cose si possano cambiare ma che sarebbe anche ora di farlo.
Al netto dell’affetto che i tifosi possano nutrire nei confronti dei loro beniamini è doveroso denunciare una volta per tutte questa situazione. Non è possibile che un manipolo di affaristi condizioni le società di calcio continuamente. Ormai questo avviene lungo tutto l’arco della stagione sportiva e oltre. Poi ci meravigliamo dei malumori negli spogliatoi e di stagioni disastrose come quella che il Napoli ha appena vissuto.
La garanzia del nuovo progetto sportivo degli azzurri ha un nome e un cognome, Antonio Conte, e sono abbastanza certo che in un modo o nell’altro riuscirà a mettere insieme gli uomini giusti per costruire una rosa competitiva.
Tutti i calciatori che però hanno un contratto (anche lungo) in essere e continuano tramite i loro rappresentati a ricattare la società andrebbero messi dinanzi ad un bivio: rispettare quello per cui hanno firmato oppure finire fuori rosa a tempo indeterminato.
Far perdere loro almeno un anno di attività sportiva potrebbe essere l’unico deterrente a certi comportamenti. Potrebbe essere anche il modo per far ritornare con i piedi per terra calciatori che nel migliore dei casi restano niente di più che discreti o buoni atleti, certamente non fuoriclasse. L’alternativa non c’è fino a quando non decidiamo di crearla.