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Diego è un’epopea che va al di là dell’Iliade e dell’Odissea

Maradona

Più che una leggenda. Non ce ne voglia Omero (sempre che sia mai esistito), ma siamo dalle parti dell’Iliade e dell’Odissea. Se non oltre. Già. Perché l’epopea maradoniana è stata un meteorite che ha illuminato Napoli. Salvandola, per certi versi, dal grigiore ancestrale di un secolo – il 1900 – piuttosto duro per la città partenopea. Diego Armando Maradona, infatti, ha portato a compimento i sogni più reconditi di una piazza che, fino ad allora – quel fatidico 5 luglio del 1984 – aveva vissuto di voli pindarici che spesso, troppo spesso, erano andati a sbattere contro l’amara realtà. Il vero miracolo di Maradona, infatti, non è stato quello di vincere scudetti e coppe varie, ma di ridare al capoluogo partenopeo una dignità regale che si era quasi smarrita nel corso dei secoli.

Non solo. Dieguito ha rappresentato una sorta di icona pop ante litteram nel decennio più colorato che l’umanità ricordi. Come solo Jordan e Michael Jackson. Poco da dire. Altro che la poetica “carta sporca” cantata da Pino Daniele. La Napoli di fine anni Ottanta brillava di nuova luce, sotto il segno del calciatore più grande di tutti i tempi. E allora ecco spiegato il culto degli abitanti di Partenope verso il loro (anti)eroe ribelle, verso l’uomo che ha puntato dritto alla luna trascinando con sé un popolo intero. Maradona è Napoli e Napoli è Maradona. Un binomio che ha quasi del sovrannaturale.

Certo, il rischio di sfociare nella retorica più melensa è sempre dietro l’angolo. Epperò, come si potrebbe descrivere un rapporto così profondamente viscerale senza metterci un po’ di sentimento? Impossibile. Sarebbe come togliere l’aura di atavica malinconia dai capolavori cinematografici di Paolo Sorrentino. Quarant’anni or sono, Diego si è preso Napoli perché Napoli un po’ gli assomigliava. Bella, geniale, complessa. Contraddittoria. Allora come oggi.

Pensateci: il sorriso timido – tipico dei predestinati – di Maradona poteva essere quello di uno scugnizzo qualunque dei vicoli della città campana. Piuttosto naturale immedesimarsi. Per chi scrive, quel 5 luglio del 1984 è paragonabile al 4 luglio degli americani. Il giorno dell’indipendenza. Il giorno di una città che finalmente rialzava la testa. E anche oggi che Maradona non c’è più, le sue gesta continuano a rincorrersi tra i vicoli di una metropoli che è (tanto) cambiata rispetto a quei sette anni magici, ma che in fondo conserva lo stesso stupore di allora quando si tratta di raccontare Diego e ciò che ha rappresentato.

Anzi. Il più delle volte non vi è bisogno di parole superflue. Del resto, basta rivolgere lo sguardo verso tutte quelle teche, tutti quei murales, verso tutte quelle vere e proprie opere d’arte ispirate dal fuoriclasse argentino e sparse in ogni dove per le strade di Napoli, non tanto per capire “chi”, ma “cosa” è stato Maradona. Siamo al di là dell’Iliade e dell’Odissea. E scusate se è poco.